Architettura dell’Informazione all’Interno degli Ambienti di Partecipazione

La necessità di gestire contemporaneamente contenuti, utenti e processi di comunicazione complica la definizione di uno schema di classificazione omogeneo e compatto.
In risposta a questa complessità, il progettista, può adottare diverse strategie in funzione del contesto comunicativo, sociale e tecnologico nel quale l’ambiente di partecipazione si va ad inserire.

L’architettura dell’informazione
Utilizzare la metafora architettonica per indicare l’organizzazione dell’informazione in uno spazio ipermediale è sicuramente un espediente retorico molto efficace. L’obiettivo del progettista è suddividere i contenuti simbolici in porzioni omogenee e quindi strutturarli in uno schema organico, coerente ed intuitivo.

Raggiungere simile traguardo non è per nulla semplice: occorre conoscere dettagliatamente quali e quante informazioni dovranno essere inserite e dovrà essere compreso il “modello mentale” che i potenziali utenti hanno di quelle informazioni. User model e content model devono risolversi armonicamente entro uno schema di classificazione.
L’interfaccia sarà, quindi, anche un luogo di conversazione tra i due modelli.
Il progettista è chiamato a rendere tale dialogo trasparente e silenzioso.
La parola chiave, in questo contesto, è “classificare”. Intuitivamente, possiamo tradurla come l’azione di mettere ordine all’interno di un insieme di elementi. Si tratta di un operazione che compiamo tutti quanti, non solo chi realizza siti web. Sistemare la spesa negli scaffali della cucina è una classificazione, del resto. Spesso, tuttavia, classifichiamo insiemi di elementi dati, ossia in gran parte preesistenti all’operazione di ordinamento. In alcuni casi, invece, è necessario costruire l’architettura informativa ancora prima di sapere quali e quanti contenuti dovranno innestarsi su di essa. Potremmo dunque sostenere che esistano due “tattiche” nel design dell’informazione: una pre-contenuti ed una post-contenuti.

Gli ambienti di partecipazione
Le due modalità trovano un corrispettivo in una dicotomia fondata su due modelli comunicativi possibili nella comunicazione telematica: il modello direzionale ed il modello dialogico.
Nel primo caso l’informazione viene trasmessa da un emittente ad un pubblico di destinatari, senza la possibilità per questi ultimi di rispondere al messaggio.
A questo modello corrispondono, ad esempio, le riviste on line. Il modello dialogico, invece, prevede che i riceventi possano trasformarsi a loro volta in mittenti ed inviare propri contenuti. Abbiamo in tal senso a che fare con ambienti di partecipazione, all’interno dei quali gli utenti rivestono ora il ruolo di lettori ora quello di scrittori.
I due modelli, considerando il web attuale, si trovano raramente realizzati in forma “pura”: è molto facile incontrare casi che si posizionano in un punto intermedio lungo l’ipotetico asse che vede ai suoi estremi i due modelli. Sono categorie analitiche: molto utili ma che devono essere prese come tali.
In questo articolo ci vogliamo concentrare sulle problematiche di architettura dell’informazione legate agli ambienti telematici di partecipazione (ATP). A mo’ di definizione, sottolineiamo la loro anima triplice. Non solo sono presenti contenuti “editoriali”, realizzati dalla redazione che mantiene in vita l’ambiente stesso, ma essi sono popolati anche da utenti esterni e da spazi di immissione/lettura di messaggi.
Se per i contenuti tradizionali è sicuramente prevedibile una logica di classificazione, meno facile è ideare uno schema di suddivisione per gli utenti e per gli spazi di comunicazione interattiva.
Queste due componenti degli ATP sono infatti insiemi “aperti”, di conseguenza è possibile che essi si evolvano in direzioni non considerate dai progettisti. E in effetti è comune ac-cedere a siti web impeccabili dal punto di vista dell’organizzazione delle risorse giornalistiche ma pressoché casuali nella strutturazione dei contenuti generati dalla comunità degli utenti o nella suddivisione in gruppi omogenei di questi ultimi.
Come ha notato Carla Simone, negli ambienti telematici di partecipazione l’architettura dell’informazione non è più so-lo uno strumento per dare ordine all’informazione, ma è anche un pratica legata al contesto (quotidiano, lavorativo…) degli utilizzatori e che assume l’importante funzione di coordina-mento tra l’azione del collocare conoscenza e l’azione del reperirla.
Gli obiettivi degli utenti

Un ulteriore elemento di complicazione riguarda gli obiettivi degli utenti del sito. Nel caso di una rivista digitale, ad esempio, possiamo ragionevolmente assumere che un visitatore vi accederà per consultare gli articoli scritti dai redattori. Questo sito potrà dunque strutturare la propria architettura informatica attorno alla risorse presenti al suo interno. Sarà “sufficiente” ideare uno schema di classificazione conforme al modello mentale che gli utenti hanno di quei contenuti.
In un ATP, invece, l’accesso ai contenuti redazionali convive con altri due obiettivi: da un lato il desiderio cooperare/collaborare con altri soggetti, dall’altro (non trascurabile) la costruzione di legami sociali attraverso il gioco e il disimpegno.

L’architettura dell’informazione di un ATP dovrà di conseguenza confrontarsi con tre dinamiche gestionali:

– una gestione della conoscenza, formale (ad es., articoli) ed informale (ad es., i messaggi in un forum);
– una gestione del processo di interazione;
– una gestione delle relazioni fra gli utenti;

In base a quest’elenco possiamo dunque proporre una tassonomia di information architectures per ambienti di partecipazione, utilizzando come criterio distintivo la dinamica gestionale che il progettista assume come prioritaria. Avremo dunque:

– Architetture fondate sugli “argomenti” (ogget-ti) della partecipazione;
– Architetture fondate sul processo di partecipazione;
– Architetture fondate sui soggetti attivi nel processo;

Prendiamo come esempio il caso di un ambiente di partecipazione in cui gli utenti possono leggere ed inserire informazioni sul mondo del cinema. Lo stesso ambiente può essere organizzato in tre modi diversi:

– con una classificazione mutuata dall’oggetto di discussione, ad esempio la suddivisione in generi delle opere cinematografiche;
– secondo un principio legato alle logiche di interazione fra i partecipanti, con aree dedicate al commento dei film, alla scrittura collettiva di sceneggiature, all’organizzazione di appuntamenti off-line…
– in base a gruppi omogenei di utenti: un’area per gli aspiranti registi, un’altra per i semplici appassionati, un’altra ancora per gli sceneggiatori e così via.

Il progettista è chiamato a scegliere una di queste opzioni: il principio–guida sarà definito di volta definito in funzione di fattori come la mission del sito o le caratteristiche della comunità degli utenti. Sistemi di classificazione fondate sui soggetti, ad esempio, sono possibili solo nel momento in cui la base di partecipanti è consistente. D’altra parte architetture fondate sui meccanismi di interazione fra i partecipanti si fanno preferire nel momento in cui l’ambiente ha una finalità operativa (nel nostro esempio potrebbe essere la realizzazione di un cortometraggio), verso la quale l’ambiente assolve la funzione di piattaforma di coordinamento e di collaborazione.

Queste considerazioni, inoltre, vanno naturalmente messe in relazione con la piattaforma tecnologica che viene scelta dal progettista. Ogni strumento di comunicazione telematica (forum, chat, weblogs) ha le sue peculiarità da valutare dal punto di vista della strutturazione dell’informazione. Esiste un architettura dell’informazione migliore?

Concludiamo il nostro intervento con una riflessione.

Abbiamo, nelle righe precedenti, evidenziato l’esistenza di alcune caratteristiche proprie degli ambienti telematici di partecipazione, tali da complicare il lavoro dell’information architect. Una profonda conoscenza della comunità degli utenti, dei possibili contenuti presenti nell’ambiente, delle risorse informative generate da una redazione, delle opzioni abilitate dalla piattaforma tecnologica, è la chiave per stilare lo schema categoriale più adatto. Non è possibile dunque affermare che una strategia di organizzazione sia migliore delle altre: ogni caso ha le sue specificità dettate dal contesto comunicativo, sociale e tecnologico all’interno del quale l’ambiente viene posizionato.